Carlos Castenada incontra Don Juan, uno sciamano divenuto suo maestro (2019)

CARLOS CASTANEDA INCONTRA DON JUAN, UNO SCIAMANO DIVENUTO SUO MAESTRO[1]

 Confia, confia,

Confia no Poder

Confia no Saber,

Confia na Forca

Aonde pode ser.

Esta Forca è muito simples

Todo mundo vè

Mas passa por ela

E nao procura compreender[2].

Mestre Ireneu (Santo Daime)

Ricordo che uno dei miei motti preferiti nei lontani anni ’60-’70 era l’esortazione di Allen Ginsberg: “allargate l’area della coscienza”. A noi giovani di quel tempo sembrava davvero ovvio che la vita non potesse essere data così tanto per scontata, come una mera somma di azioni prevedibili di routine, di doveri e di regole di comportamento ben poco soddisfacenti per potersi sentire vivi ed interi. Il mistero del non conosciuto e dell’inesplorato, delle libere possibilità, inspirava ed eccitava tutta la mia generazione. In quegli anni era ben diffusa ed accettata la consapevolezza che ognuno di noi vivesse all’interno di una sorta di visione soggettiva e illusoria della vita, nella gabbia delle idee che ci si era costruita nel vivere…

La ricerca e la voglia di qualcosa di “altro”, di completamente diverso da ciò che eravamo abituati ad accettare per forza era esplosa. C’era una grande voglia di cambiamento, una fame di esperienza ove la mente potesse aprirsi all’immaginazione.

Tra i tanti insegnamenti spirituali che hanno arricchito e ispirato questa ricerca e che hanno influenzato le menti delle giovani generazioni di quegli anni certamente uno dei più affascinanti e significativi è stato quello ricevuto da Carlos Castaneda in Messico a scuola del suo Maestro stregone Don Juan.

Un fatto ben riconosciuto da svariati studi psicologici sulla percezione viene anche sostenuto dal Maestro di Castaneda e cioè che la percezione che le persone hanno della propria vita, di sé e del mondo, è fortemente condizionata dal modo in cui ognuno ha vissuto, fatto esperienza di sé stesso  e soprattutto dal modo in cui ci si è descritti e raccontati. La cultura in cui siamo immersi, l’educazione che abbiamo ricevuto, le nostre abitudini, tutto ci predispone e ci spinge ad interpretare ogni esperienza che abbiamo secondo quest’ottica acquisita e tale atteggiamento conseguentemente risulta determinante nella costruzione della descrizione che facciamo di noi stessi, della nostra vita e delle nostre esperienze. Dunque la nostra percezione della vita risulta in definitiva essere soltanto una interpretazione della vita stessa. Questa nostra caratteristica a rappresentarci il mondo è chiamata da Don Juan il “primo anello del potere”. Il primo anello del potere rappresenta dunque la convinzione illusoria che il proprio modo di vedere sia reale, oggettivo e l’unico possibile…

A questo proposito voglio ricordare l’ammonimento di Abram Maslow sulle caratteristiche delle persone sane e sul buon funzionamento della personalità: “Non trascurano l’ignoto, né lo negano, né lo fuggono, né cercano di dare ad intendere che in realtà sia noto, né lo organizzano, né lo dicotomizzano, né lo catalogano prematuramente. Non si attaccano alle cose familiari, e la loro esigenza di verità non è un bisogno catastrofico di sicurezza, di certezza, di definizione e di ordine… possono essere, quando la situazione oggettiva lo esige, confortevolmente disordinati, trascurati, anarchici, caotici, vaghi, dubbiosi, incerti, indefiniti, approssimati, inesatti o imprecisi”[3].

Secondo l’insegnamento di Don Juan per poter percepire il mondo in termini diversi dalla limitata descrizione ordinaria e per entrare in contatto con l’altra realtà, lo stregone deve utilizzare il secondo anello di potere, anche detto l’ anello del non fare. Avere l’atteggiamento del non-fare significa smettere di porre in primo piano il flusso della propria percezione e descrizione della vita. Tale modo di porsi all’esperienza a sua volta sospende gli automatismi del fare ordinario e dell’atteggiamento caratteriale stereotipato. Quindi il non-fare è il mezzo che apre il cammino verso il lato ignoto della realtà e della persona…

La possibilità di conoscere il proprio processo interno e di trascenderlo “è connessa con la propria capacità di poterlo osservare senza prenderlo per scontato, di osservarlo senza pre-giudizio. Non ci si deve limitare all’osservazione di ciò che già si conosce ma piuttosto è necessario correre il rischio di riguardare tutto da capo. C’è infatti il rischio che in questa operazione tutto possa andare sottosopra. Tale processo di osservazione di sé senza interferire, come testimone imparziale, può modificare radicalmente la nostra consapevolezza…[4]

Per Don Juan il “vedere” si realizza dunque quando il flusso automatico ed abitudinario della descrizione che si ha dei fenomeni viene interrotto con il non fare, modificando in tal modo l’ordinaria percezione della realtà. Questa azione viene detta fermare il mondo ed è associata anche all’interruzione del proprio “dialogo interno” che è la conversazione mentale che continuamente sosteniamo con noi stessi e che, come abbiamo visto, si poggia sulle interpretazioni che abbiamo dato alla nostra esperienza.

[1] Articolo di Matteo Simone. In “Si salvi chi può”, Sergio Mazzei, IBGW, Cagliari, pagg. 149-158

[2] Confida, confida, confida nel Potere, confida nel Sapere, confida nella Forza ovunque essa sia. Questa forza è molto semplice, tutto il mondo la vede, ma gli passa davanti e non la riconosce.

[3] “Verso una psicologia dell’essere”, Astrolabio-Ubaldini, Roma

[4] Mazzei S., “Ermeneutica e philosophia perennis”, Rivista “IN Formazione Psicoterapia Counselling Fenomenologia” n.5 “Gestalt e costruttivismo”, Settembre/Ottobre 2005, I.G.F. s.r.l. Editore, Roma