Frigidità orale e fame di struttura (2013)

FRIGIDITÀ ORALE E FAME DI STRUTTURA

F. Perls, a proposito delle resistenze, causa d’interruzioni del metabolismo mentale, parla di frigidità orale (1949). La repressione del disgusto e della paura è un esempio di resistenza contro la resistenza, la repressione della non-accettazione; della non-accettazione della separazione da qualcosa che è diventato parte di chi non vuole vedere.

Nella terapia della Gestalt si parla, a questo proposito, del meccanismo di difesa della confluenza, attivato nella prima fase del ciclo di contatto; contatto, tra la persona e l’ambiente, che è in continuo divenire, se non viene interrotto dall’utilizzo di meccanismi di difesa. Questi sono attivati dalla persona che ha paura di vedersi in immagini che non condivide, che non accetta incondizionatamente quello che è.

Il ciclo di contatto, un fondamento della teoria della Gestalt, è razionalmente schematizzato in stadi. C’è la fase del pre-contatto,  che è la fase della sensazione, la sensazione della percezione del bisogno; la fase del contatto, in cui la persona, definito il suo bisogno, si attiva, si energizza, per pervenire al suo soddisfacimento; la fase del contatto pieno, che è il momento dell’azione; e la fase del post-contatto, in cui la persona digerisce, metabolizza, l’esperienza di cui si è cibato. Ritornando alla confluenza, questo meccanismo di difesa è attivato nella fase del pre-contatto, una fase estremamente primitiva, collegabile alla fase neonatale, in cui la realtà è conosciuta solo attraverso i sensi e le emozioni più primitive.

La confluenza indica l’indifferenziazione tra sé e l’altro, tra chi sono io e chi sei tu. Rispetto alle resistenze orali, in linea con la frigidità orale sopra accennata, Perls (ibidem) scrive del complesso del succhiotto, “la più interessante di tutte le resistenze orali”, determinante per lo sviluppo dell’attitudine ad aggrapparsi. L’insufficienza del flusso di latte determina un’ insoddisfazione, sostenuta dall’inibizione dentale e dall’indifferenziazione tra il seno, che dovrebbe essere lasciato intatto, e il cibo, che dovrebbe essere “morso, masticato e distrutto”. Questa fissazione, come sostenuto da Perls, è emblematica di una rigidità caratteriale che impedisce lo sviluppo della personalità. “Il succhiotto rappresenta un serio impedimento allo sviluppo della personalità, perché non soddisfa realmente l’aggressività, ma la devia dal suo scopo biologico, cioè la gratificazione della fame e il ripristino della totalità dell’individuo”.  Lowen (1985), a questo proposito,  parla  di carattere orale, di una struttura di personalità che è incapace a reggersi sulle proprie gambe, che è estremamente dipendente dagli altri e che ha paura del rifiuto e dell’abbandono.

L’immobilizzazione della pulsione aggressiva è un altro aspetto caratterizzante questo tipo di carattere, la negazione della sua negazione, così come per la non-accettazione nella frigidità orale del carattere parassita.

Lowen  (ibidem) sostiene che un carattere orale si sviluppa quando il desiderio della madre è represso, prima che i bisogni orali siano soddisfatti. Il conflitto fra la necessità da una parte e la paura della delusione dall’altra viene risolto con la negazione. Il bambino cerca allora di funzionare indipendentemente e, in parte, ci riesce; ma i bisogni orali insoddisfatti sono ancora attivi a livello inconscio. “Il problema originale appare ora come un disturbo della genitalità. La delusione a questo livello riattiva il conflitto originale, che gradualmente si estende fino ad abbracciare il complesso delle funzioni dell’individuo” (ibidem).

Lowen sostiene che, nel carattere orale, i rapporti amorosi sono sostenuti da un interesse narcisistico; la dipendenza è grande ma è spesso mascherata dall’ostilità. Come sostenuto da Freud (1914), in uno dei suoi primi lavori sulla libido dell’Io e la libido d’oggetto, il mancato superamento di una relazione di tipo narcisistica determina una condizione in cui ci si bea eroticamente del proprio Io, senza cercare nell’altro il proprio oggetto d’amore. Questa potrebbe essere una forma di compromesso attivata per soddisfare la fame di stimolo, la fame di riconoscimento e la fame di struttura. Berne (1964) scrive a questo proposito: “Si possono dare più nomi al processo del compromesso: sublimazione, per esempio….Via via che il compromesso si arricchisce di complicazioni, l’individuo diventa più personale nella scelta dei mezzi che gli procurano il riconoscimento; le differenziazioni producono la varietà dei rapporti sociali e determinano il destino individuale”. Tali mezzi corrispondono alle cosiddette carezze. L’autore estende la parola “carezza” a quelle azioni che implicano il riconoscimento della presenza di un’altra persona e, pertanto, le indica come unità fondamentale dell’azione sociale; “senza carezze, non si cammina a petto in fuori” (ibidem).

Alla base dei bisogni dell’essere umano, c’è una fame di stimoli o carezze.

Nella teoria dell’analisi transazionale, la costruzione del copione di vita ha a che fare con le carezze ricevute e non durante l’infanzia, al punto che la struttura del personaggio che andremo a recitare, secondo il copione che ci siamo scelti, sarà la modalità per noi più congeniale o possibile per raccogliere o ricevere carezze. Berne (1966), dall’idea per cui i primi anni dell’infanzia sono importanti e spesso decisivi nel definire quello che saremo in futuro, definisce il copione come un piano di vita inconscio, che si basa su una decisione presa durante l’infanzia, che è giustificata dagli avvenimenti successivi. Il copione è decisionale. Le decisioni di copione non sono, però, prese in modo riflessivo, così come farebbe un adulto, ma derivano dalle emozioni e vengono prese quando ancora il bambino non è in grado di definire con le parole (Jones, 1990). Il mantenimento di tali inconsapevoli decisioni è sostenuto dal fatto che queste rappresentano  la strategia migliore per sopravvivere in un mondo vissuto come ostile e/o minaccioso.  La rigidità di determinati scambi relazionali, nonostante siano apparentemente fonte di sofferenza, è conseguenza di tali decisioni infantili; la persona utilizza gran parte delle sue energie, per rinforzare e portare avanti il suo copione.

L’inconsapevolezza determina il mantenimento di credenze legate allo stato dell’Io bambino. La stessa inconsapevolezza che caratterizza le condotte tossicomaniche, emblematiche della frigidità orale di cui ha parlato Perls.

Zerbetto (1983), a questo proposito, sottolinea la presenza di una carente spinta aggressiva. L’abuso farmacologico diventa una modalità difensivo, adattiva della modulazione delle funzioni di contatto io-mondo. Come sostenuto da Zerbetto (ibidem), l’assunzione delle sostanze stupefacenti risponderebbe ad esigenze compensative, dette anche auto terapeutiche, da parte del soggetto che, per far fronte alla sensazione di difficoltà e d’impotenza, tenderebbe a ricorrere a tali mediatori.

L’assunzione di sostanze stupefacenti diventerebbe un modo per reagire a un’ angoscia senza nome, il modo migliore per ricreare uno stato di onnipotente auto-appagamento, funzionale al soddisfacimento dei bisogni simbiotici, rimasti insoddisfatti. Come il succhiotto per l’infante, la ripetizione è compulsiva nelle tossicodipendenze. Il costante tentativo di restare aggrappati alla realtà esterna difende dalla difficoltà di sentire.

La negazione della negazione è il filo conduttore che unisce la resistenza alla resistenza, espressione, d’altro canto, della incapacità/non volontà di riconoscere la propria vita affettiva e differenziarla da quella dell’altro, la stessa incapacità che vediamo nella confluenza.

Anche la Mahler (1968) sostiene, durante il processo di separazione-differenziazione, un’inadeguata interiorizzazione della figura materna.

Il carattere orale non si sforza molto per ottenere quello che vuole; la giustificazione offerta è l’esperienza di una costante delusione. Spera di ottenere quello che vuole, senza muovere un dito (Lowen, 1978).

Lowen sostiene che il carattere orale prova riluttanza ad accettare la realtà e la necessità di lottare nella vita, ripete “non so cosa voglio … soprattutto desidero la pace” (ibidem).

Analogamente, Perls (1942) sostiene che il lattante al seno della madre è un parassita e le persone che mantengono questo atteggiamento per tutta la vita rimangono parassiti assoluti. Esse si aspettano sempre qualcosa per niente; non hanno raggiunto l’equilibrio necessario alla vita di un adulto, il principio del dare e avere. Berne (1970) definisce questo principio “intimità” e ne sottolinea, in una relazione amorosa, per esempio, l’allontanamento dai giochi e dallo sfruttamento reciproco. I giochi servono a riempire il tempo; questi rispondono alla fame di struttura che indica, insieme alla fame di stimolo e di riconoscimento, il bisogno di evitare il digiuno sensorio ed emotivo.

Tuttavia, come ci fa notare A. Ferrara (2013), l’eccesso di struttura è espressione della rigidità e dell’automatismo del carattere, una rigidità che appartiene alla fissità copionale e che è funzionale all’ evitamento della conoscenza di quello che è, al mantenimento della non accettazione.

Una breve digressione sulla teoria paradossale del cambiamento (Beisser, 1970 ) e sulla teoria dell’ accettazione incondizionata (Rogers, anni ‘40) è fondamentale, per indicare l’altro lato della medaglia.

L’indifferenzazione è causa della ricerca continua di palliativi, che soddisfino la necessità biologica di un principio organizzante; palliativi, che rispondano all’amore egoico, in cui l’Io è il centro e l’altro è sullo sfondo. L’intimità è la sola risposta davvero soddisfacente alla fame di stimolo, di riconoscimento e di struttura e la si raggiunge solo differenziandosi dai copioni esistenziali.

La concentrazione narcisistica è una prerogativa del carattere orale, in cui la persona ha il Sé come oggetto. Come sostenuto dalla Segal (1981), mentre la fantasia onnipotente nega l’esistenza del bisogno, il pensiero che ammette il bisogno può essere usato, per esplorare la realtà esterna e interna e per affrontarla.

L’onnipotenza è un aspetto distintivo delle tossicodipendenze e dei substrati costituzionali narcisistici; questa limita la libertà di pensiero che, sempre secondo la Segal, permetterebbe di tollerare una tensione crescente e di ritardare l’azione. Ritornando alla frigidità orale e alla sua limitata fissità, Perls (1942) sostiene la necessità di non reprimere il disgusto, di differenziarsi da questo e visualizzarlo, di diventare pienamente consapevoli dell’esperienza del disgusto, di non evitare il contatto con quello che è rivoltante.

Non ci può essere cambiamento senza accettazione: “il cambiamento avviene quando si diventa ciò che si è e non quando si cerca di diventare ciò che non si è” (Beisser, 1970). E, per essere consapevoli di quello che è, per prestarvi attenzione in modo responsabile, è necessario sospendere il giudizio, “noi siamo quello che siamo e non possiamo fare a meno di essere quello che siamo”, scrive Perls (1942).

L’accettazione incondizionata prevede proprio questo: la sospensione del giudizio. L’assunzione di un atteggiamento di nuda attenzione, di osservazione imparziale dell’esperienza.

Tale accettazione può essere funzionale al ritorno al primitivo stato di vuoto, il vuoto fertile. Uno stato mentale privo di Ego, quello stato che originariamente ci appartiene.

In Gestalt si parla anche di punto zero,  una predisposizione totale in cui prende spazio l’indifferenza creativa che, d’altro canto, non lascia spazio alle suddette rigidità caratteriali. “L’eterna sofferenza, per le carenze infantili vissute in un passato che non c’è più e che oggi danno vita alle forme di nevrosi più disparate, si trasforma. All’amore per sé, l’amore egoico, tutto centrato sul ricevere, comincia a subentrare l’amore compassionevole. E’ l’amore per il quale il centro diventa l’altro e l’Io va sullo sfondo. Paradossalmente soddisfa di più”( A. Ferrara, 2013).

Ritornare allo stato primordiale dell’indifferenziazione creativa vuol dire osservare consapevolmente, spontaneamente e intimamente, così come, autonomamente, farebbe un bambino che ancora non ha deciso il suo copione di vita.