Guarire dal passato. Vivere nel presente (2019)

Rembrandt: La sposa ebrea

GUARIRE DAL PASSATO. VIVERE NEL PRESENTE

Ho piacere a condividere, attraverso questa relazione, la lettura di un libro[1] che ho trovato essere di apertura all’amore, all’amicizia, alle relazioni autentiche; di apertura a tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta.

Intorno ai passi che ho evidenziato ci sono le risposte a domande che mi sono posta e che mi sono state poste da pazienti e conoscenti. Ho riportato, inoltre, parte di due casi clinici, trattati dallo stesso autore del libro.

Auguro ai lettori di avvicinarsi alle risposte che cercano.

 

Diventa sempre più difficile sentire le gioie e le fatiche della vita quotidiana e concentrarsi sui normali compiti: non essere completamente vivi nel presente mantiene saldamente imprigionati nel passato […]. La sfida non è imparare ad accettare le cose terribili che sono accadute, ma imparare a ottenere la padronanza sulle proprie sensazioni interne e sulle emozioni. Percepire, nominare e identificare ciò che sta succedendo all’interno di noi è il primo passo verso la guarigione. (76-77)

Se un organismo è bloccato su una modalità di sopravvivenza, le sue energie sono impiegate per combattere nemici invisibili, il che non lascia spazio per il nutrimento, la cura, l’amore. Questo significa che, finché la mente si difende da assalti inesistenti, i nostri legami più intimi ne sono minacciati, insieme alla capacità di immaginare, pianificare, giocare, apprendere e prestare attenzione ai bisogni delle altre persone. (87)

Per avere relazioni autentiche, bisogna essere in grado di riconoscere gli altri come individui separati, ognuno con le proprie motivazioni e intenzioni specifiche. Se, da una parte, è necessario farsi valere, dall’altra, è altrettanto indispensabile riconoscere che le altre persone abbiano, a loro volta, i loro programmi. Il trauma può rendere tutto ciò vago e fumoso. (119)

Il punto cruciale è la reciprocità: essere veramente sentiti e visti dalle persone intorno a noi, sentire di essere compresi nella mente e nel cuore di qualcun altro […] Nessun dottore potrebbe prescrivere una ricetta per l’amore e l’amicizia: sono capacità complesse, che si conquistano a fatica. Non si deve per forza avere una storia traumatica per sentirsi consapevolmente impauriti a una festa con sconosciuti, ma il trauma ha il potere di trasformare il mondo intero in un raduno di alieni. (91)

Lyons-Ruth concluse che i bambini che non sono stati realmente visti e riconosciuti dalle loro madri sono soggetti ad alto rischio di divenire adolescenti incapaci di riconoscere e di vedere […] Ricevere una risposta sintonizzata protegge i bambini (e gli adulti) dai livelli estremi di arousal spaventato. Ma se il nostro caregiver ignora i nostri bisogni, o è infastidito dalla nostra esistenza, si impara ad anticipare il rifiuto e il ritiro. Ci si arrangia così come si può, bloccando l’ostilità o il rifiuto della propria madre, e ci si comporta come se non avesse importanza, anche se il corpo, probabilmente, rimane in uno stato di forte allerta, pronto a scongiurare batoste, deprivazione o abbandono […] Bowlby scrisse: “Ciò che non può essere comunicato all’altro (alla propria madre) non può essere comunicato a sé stessi”. (140-141)

Il cambiamento inizia quando impariamo a “padroneggiare” il nostro cervello emotivo. Ciò significa cominciare a osservare e tollerare le sensazioni di crepacuore e stretta allo stomaco, che esprimono infelicità e umiliazione. Solo dopo aver imparato a sopportare ciò che accade dentro di noi, si può iniziare a essere amici di quelle emozioni che mantengono le nostre mappe fisse e immutabili, piuttosto che a estinguerle. (150)

La guarigione dal trauma conduce alla ripresa del funzionamento esecutivo e, con esso, alla fiducia in se stessi, alla capacità di giocare e di essere creativi….Imparare come fare a respirare lentamente e a rimanere in uno stato di relativa rilassatezza fisica, anche mentre si accede a ricordi dolorosi e spaventosi, è uno strumento di guarigione essenziale…se si continua a respirare e a notare il movimento dell’aria che entra ed esce dai nostri polmoni, è possibile pensare al ruolo che gioca l’ossigeno nel nutrire il nostro corpo e nell’irrorare i nostri tessuti con l’energia necessaria a farci sentire vivi e coinvolti…Al centro della guarigione c’è l’autoconsapevolezza... il semplice notare la nostra noia, il nervosismo o l’ansia ci aiuta, in modo repentino, a cambiare prospettiva e apre nuove possibilità di risposta, che vanno oltre le reazioni automatiche e abitualiPer cambiare c’è bisogno di aprirsi alla propria esperienza interna. Il primo passo consiste nel permettere alla mente di focalizzarsi sulle sensazioni fisiche e nel notare come queste siano transitorie e rispondano a modifiche posturali anche minime, ai cambiamenti nel modo di respirare e ai mutamenti del pensiero. Una volta che si presta attenzione alle sensazioni fisiche, il passo successivo è quello di etichettarle, per esempio: “Quando sono ansioso, ho una sensazione di oppressione al petto” (236-239)

Agency è il termine tecnico che indica il sentimento di avere “in carico” la propria vita: sapere dove si è, sapere di avere voce in capitolo in ciò che ci accade e sapere di potere avere un’efficacia su ciò che ci sta intorno […] Quanto più le persone cercano di eliminare o ignorare i segnali interni di pericolo, tanto più ne sono invase, frastornate, confuse, per poi vergognarsene. Le persone che non riescono facilmente a notare cosa accade dentro di loro sono inclini a rispondere a qualsiasi cambiamento sensoriale sia spegnendosi sia andando in panico: sviluppano la paura della paura stessa. I sintomi dell’attacco di panico sono così persistenti perché il soggetto sviluppa la paura delle sensazioni corporee associate all’attacco stesso. L’attacco di panico può essere sollecitato da qualcosa che la persona riconosce come irrazionale, ma la paura delle sensazioni corporee innesca un’escalation che confluisce nell’attacco stesso. Le espressioni “morto di paura” è “congelato dalla paura” descrivono precisamente, costituendone la base viscerale, i vissuti correlati al trauma e al terrore. L’esperienza della paura deriva dalle risposte primitive alla minaccia, nelle quali la fuga è stata in qualche modo ostacolata. La vita delle persone sarà tenuta in ostaggio dalla paura, fintanto che le esperienze sensoriali non si modificheranno. Il prezzo dell’ignorare o del distorcere i messaggi provenienti dal corpo è quello di perdere la capacità di valutare ciò che è veramente pericoloso e dannoso per noi, e, cosa altrettanto negativa, ciò che è sicuro o nutriente. La regolazione del sé dipende dall’avere una buona relazione con il proprio corpo, senza la quale si deve per forza fare affidamento su una regolazione esterna, che va dai farmaci, alle droghe, all’alcol, alla rassicurazione costante, all’accondiscendenza compulsiva verso i desideri degli altri. (110-113)

Se il problema del PTSD è la dissociazione, l’obiettivo del trattamento dovrebbe essere l’associazione: integrare gli elementi dissociati del trauma nella narrativa corrente della vita, così che il cervello possa riconoscere che “quello era allora e questo è ora”. (208)

La mente non può creare significati che vanno al di là di ciò che conosce e il senso che noi attribuiamo alla nostra vita influenza il come e il cosa ricordiamo. (221)

Gli esseri umani traumatizzati guariscono in contesti relazionali: famiglie, persone amate, gruppi di auto-aiuto, comunità religiose, o con la psicoterapia. Lo scopo di queste relazioni è di dare sicurezza emotiva e fisica, come, per esempio, la sicurezza rispetto a sentimenti di vergogna, di rimprovero o di giudizio, e di sostenere il coraggio di tollerare, affrontare ed elaborare la realtà di ciò che è successo (…) la guarigione dal trauma, in primis quelli relazionali, implica una (ri)connessione con gli altri esseri umani (…) Se, da un lato, il contatto umano e la sintonizzazione rappresentano la fonte dell’autoregolazione fisiologica, la promessa d’intimità, dall’altro, determina spesso la paura di essere feriti, traditi e abbandonati. La vergogna gioca un ruolo fondamentale in tutto ciò: “Scoprirai come sono marcio e disgustoso e mi lascerai non appena ti renderai conto di come sono in realtà”. I traumi irrisolti possono far pagare un costo pesante in termini relazionali. Se abbiamo il cuore spezzato perché abbiamo subito l’aggressione di qualcuno che amavamo saremo costantemente preoccupati di non essere nuovamente maltrattati e avremo, di conseguenza, una terribile paura di aprirci, di nuovo, a qualcun altro. È possibile, quindi, che, inconsapevolmente, siamo noi a trattare male gli altri prima di esserne, nuovamente, feriti (241-243)

Siamo indotti a pensare che il silenzio ci permetta di controllare il dolore, la paura o la vergogna, ma il nominare, il chiamare le cose con il loro nome, offre la possibilità di esercitare un diverso tipo di controllo. Poter dire a gran voce a un altro essere umano “Sono stata violentata” o “Sono stata picchiata da mio marito” o “ I miei genitori la chiamavano disciplina, ma era crudeltà” o “Non lo facevo, fino a quando non sono tornato dall’Iraq”, è un segnale che la guarigione può avere inizio(…)Sentirsi ascoltati e compresi cambia la nostra fisiologia; essere in grado di articolare un sentimento complesso e di riconoscersi nei nostri stessi sentimenti attiva il sistema limbico e crea un “momento aha” […] Se si nasconde di essere stati molestati, da bambini, da uno zio, si diventerà fortemente reattivi agli stimoli, come un animale durante un temporale: si mobilita una risposta di tutto il corpo a causa degli ormoni che segnalano “pericolo”. Senza un linguaggio e un contesto, la consapevolezza si può limitare a: “sono spaventato”. Ancora, determinati a mantenere il controllo, si sarà predisposti a evitare chiunque o qualsiasi cosa ricordi, anche solo vagamente, il trauma. Si può anche passare, senza sapere il perché, dall’inibizione e dalla tensione alla reattività e all’esplosività. Finché si mantengono segreti e si nascondono informazioni, si è, fondamentalmente, in guerra con sé stessi. (265-266)

Tutti noi abbiamo delle parti. In questo preciso momento, una parte di me sente di dover schiacciare un pisolino, mentre un’altra parte vuole continuare a scrivere. Sentendosi ancora urtata da un messaggio e-mail offensivo, una parte di me vuole digitare ‘rispondi’, inviando una frecciatina pungente, mentre un’altra parte vuole ignorare la cosa… Le parti non sono solo sentimenti, ma modi distinti di essere, con le loro credenze, i loro scopi e ruoli, all’interno dell’intera ecologia della vita. Sentirci in armonia con noi stessi dipende in larga misura dalla capacità di fruire di una guida interna e, cioè, da quanto bene ascoltiamo le diverse parti di noi, assicurandoci che si sentano accudite ed evitando che si sabotino l’una con l’altra…..Carl Jung scriveva: “La vita psichica, quale sistema autoregolantesi, è equilibrata come la vita del corpo, cosicché per ogni iperfunzione si determinano tosto e necessariamente delle compensazioni…” […] Marvin Minsky dichiarò: “La leggenda di un sé singolo può soltanto farci deviare dall’obiettivo della ricerca del sé…come i membri di una famiglia, queste diverse parti possono collaborare e aiutarsi a vicenda, pur avendo ciascuna le proprie esperienze mentali, di cui le altre non sanno mai nulla”. (320-321)

I pazienti possono disprezzare le parti che sono “fuori”: le parti arrabbiate, distruttive e critiche […] tutte le parti sono benvenute e tutte, anche quelle suicidarie e distruttive, si sono formate nel tentativo di proteggere il sistema del sé, non importa quanto ora sembrino minacciarlo. (323)

Joan mi chiese una consultazione affinché la aiutassi a gestire i suoi eccessi caratteriali e ad affrontare il senso di colpa nei confronti di numerose relazioni […] Alla prima seduta affermò: “Oscillo dall’essere una professionista di successo all’essere una bambina lamentosa, o una stronza furiosa; una macchina spietata, che divora il cibo nel giro di dieci minuti. Non ho la più pallida idea di chi io sia veramente”(…)Con il progredire della terapia di Joan, identificammo parti differenti che assumevano il controllo in momenti diversi: una parte aggressiva, che faceva i capricci, una parte adolescente promiscua, una parte suicidaria, un manager ossessivo, una moralista perbenista e così via (….)Pian piano, Joan iniziò a rendersi  conto che era normale provare contemporaneamente sentimenti o pensieri conflittuali e tutto ciò le dava ora fiducia maggiore nell’affrontare i passi terapeutici successivi. Imparò che soltanto una parte di sé era invasa e bloccata dall’odio, e non il suo intero essere(….)Come molti sopravvissuti, Joan odiava i suoi esuli, in particolar modo la bambina piccola che aveva risposto alle richieste sessuali del suo abusante e la bambina terrorizzata che si lamentava da sola nel suo letto(….)Tenere gli esuli bloccati, tuttavia, non estirperà soltanto i ricordi e le emozioni, ma anche le parti che li contengono, le parti che, per lo più, sono state ferite dal trauma. Per usare le parole di Schwartz: “Di solito quelle sono le parti più sensibili, creative, capaci di amore e di intimità, vitali, giocose e innocenti. […] Come ha scoperto Joan, tenere nascosti gli esuli e disprezzarli la stava condannando a una vita senza intimità e senza gioie autentiche. (326-331)

Fu, quindi, necessario fare di nuovo visita a quel bambino, isolato da tanto tempo, per essere sicuri che le parti ferite di Peter si sentissero accudite, specialmente quando accadeva qualcosa di offensivo a casa o al lavoro. […] Un giorno dichiarò di aver cercato, durante l’età adulta, di lasciarsi alle spalle il passato e che, ironia della sorte, era stato necessario avvicinarsi moltissimo a esso, per riuscire a lasciarlo andare. (338)

La percezione delle sensazioni viscerali è fondamentale per la consapevolezza emotiva. Se un paziente mi riferisce che, quando aveva otto anni, il padre ha abbandonato la famiglia, posso probabilmente interrompere la narrazione e chiedergli di verificare dentro di sé l’effetto di quanto mi sta riportando…Quando si attivano le sensazioni viscerali e si ascolta il nostro cuore spezzato, le cose cominciano a cambiare. (272)

Essere traumatizzati non significa solo essere bloccati nel passato; si tratta, più che altro, di non essere pienamente vivi nel presente. (253)

“Ho lentamente e semplicemente imparato a provare i miei sentimenti, senza esserne travolta. La vita è più gestibile: sono più sintonizzata sulle mie giornate e più presente nel momento. Tollero di più il contatto fisico. Mio marito e io stiamo cominciando a provare piacere nel guardare i film accoccolati insieme nel letto… un grande passo. Tutto ciò mi ha permesso di stare bene, in intimità con lui”. (315)

Il nostro senso di efficacia, quanto ci sentiamo padroni di noi stessi, è definito dal rapporto che abbiamo con il nostro corpo e i suoi ritmi: il ciclo sonno-veglia, il modo in cui mangiamo, ci sediamo e camminiamo, tutto ciò definisce la forma delle nostre giornate. Pertanto, per trovare la nostra voce, dobbiamo essere nel nostro corpo, capaci di respirare profondamente e in grado di accedere alle nostre sensazioni interiori (378)

Il trauma ci mette costantemente a confronto con la nostra fragilità e con la disumanità dell’uomo verso sé stesso, ma anche con la nostra straordinaria resilienza. Ho potuto fare questo lavoro per così tanto tempo, perché mi ha portato a esplorare l’origine delle felicità, della creatività, del senso e della condivisione: tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Non posso neanche immaginare come avrei affrontato quello che molti dei miei pazienti hanno sopportato, ma i loro sintomi rispecchiano, per me, la loro forza: sono, cioè, i modi che hanno imparato a usare per sopravvivere. E, nonostante tutta questa sofferenza, molti di loro sono diventati partner e genitori amorevoli, insegnanti esemplari, infermieri, scienziati e artisti. (408)

[1] Bassel Van Der Kolk, Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche, Raffaello Cortina Editore, 2015.