La magia del sogno. Cosa mi viene a dire oggi? (2019)

La magia del sogno.

Cosa mi viene a dire oggi?

 

“Invece di pensare a ciò che dovrebbe fare secondo la morale…l’individuo che si assopisce comincia a pensare a ciò che gli piacerebbe fare….e, quando infine sopraggiunge il sonno, non solo divieti e morale, ma anche il mondo obiettivo della realtà, con le sue possibilità fisiche e sociali limitate, si dissolve e il Bambino ha la possibilità di perseguire nei sogni il suo procedimento magico” (Berne 1961). Il sogno, come il linguaggio del bambino, è fuori dai principi della logica e dalle categorie dello spazio e del tempo; quando si sogna non c’è tempo, il tempo si ferma, può sembrare che dura un attimo, una vita. Ciò non vuol dire che nel sogno non vi sia logica, ma, piuttosto, che essa risponda a leggi diverse, a un linguaggio diverso. Limitarsi a chiarificare gli aspetti simbolici del sogno, vuol dire privarlo della sua spontaneità e, soprattutto, impedirsi di considerarlo come creazione personale e unica. Il simbolo va inserito nel contesto della realtà del sognatore, con la sua esperienza culturale e le sue personali esperienze. Sicchè, il fuoco, generalmente considerato come simbolo universale, suggerirà diversi significati all’uomo del nord, rispetto a quello del sud, così come il fuoco di un incendio è diverso da quello di un camino (Fromm 1951), e può essere elemento distruttivo o vivificante, simbolo di paura o di gioia, a seconda di chi lo vive. Il sogno è ricco di simboli e metafore.

  1. Fromm (ibidem) esemplifica il concetto in questo modo: se ho avuto un’esperienza triste in una città e ogni volta che ne sento il nome sto male, la città in sé non ha nulla che fa star male. Se la sogno, sta per lo stato d’animo che una volta ho provato in essa. Questo simbolo, la città, che Fromm definisce accidentale, non può essere condiviso da nessun altro. Il sogno è la espressione più spontanea dell’essere umano e il linguaggio che più gli si avvicina è quello dell’arte. “E’ un pezzo d’arte che ceselliamo fuori dalle nostre vite”, enfatizzava Perls (1970).

In termini gestaltici e analitico transazionale, nessun sogno risponde a una specifica teoria, in quanto espressione di quella persona e rappresentazione di quella persona,  nel momento in cui lo vive. Soffermarsi su quello che il sogno mi viene a dire, è un modo per re-integrare aspetti che non abbiamo visto, per diversi motivi, e che lo stesso sogno ci suggerisce. Possiamo restare mancanti di pezzi e poveri di potenziale creativo, se li lasciamo lì, a prescindere da se li giudichiamo come positivi o negativi. Per effetto della proiezione “abbiamo disconosciuto, alienato certe parti di noi stessi e le abbiamo messe nel mondo, fuori di noi, piuttosto che averle disponibili come proprio potenziale” (Perls, 1970). Una farfalla non può volare senza ali.

Il sogno e lo stato di veglia sono due modi diversi attraverso i quali l’individuo vive la stessa realtà: durante il sogno non siamo un’altra cosa, viviamo la stessa realtà in modo diverso, con un linguaggio diverso; “ieri notte ho sognato di essere una farfalla, e ora non so se sono un uomo che ha sognato di essere una farfalla o una farfalla che sogna di essere un uomo”, scrive E. Fromm (1983).

Il sogno rappresenta il modo di vivere della persona, che si manifesta in uno stato di coscienza diverso da quello dello stato di veglia, cosicchè il paziente, attraverso il contatto con l’esperienza sognata, può sperimentare cosa il sogno gli sta dicendo, può ricevere il messaggio esistenziale che il sogno porta. “E’ più di un’espressione di desiderio, è più di una profezia, è più di una situazione incompiuta. E’ un messaggio di te stesso a te stesso, a qualsiasi parte di te ti stia ascoltando”, così spiegava il sogno F. Perls (1970).

Secondo gli approcci terapeutici di riferimento, il sogno è qualcosa che sta parlando d’oggi, anche se si riferisce al passato, anche se sono bambino, anche se sta ripetendo un’esperienza traumatica vissuta nel passato.

Il mondo rappresentato nel  sogno è attuale, riproduce, anche attraverso ciò che è stato, quanto della propria vita è incompiuto; dove per incompiuto non ci si riferisce  solo a cosa manca, ma anche a cosa non si è voluto capire, vedere, assorbire, come parte propria, assimilare come aspetto di sé: tutto quello che appare nel sogno è parte di me.

Di matrice gestaltica e in linea con quanto suddetto, è l’idea che il sogno è un’esperienza, un messaggio esistenziale utile a re-integrare le parti di sé allontanate.

Rivisitare il sogno, con consapevolezza e con il desiderio di intendere i messaggi che ci manda, può permetterci di conoscere aspetti di noi, che abbiamo allontanato dalla nostra coscienza, permettendoci così di arricchire la nostra personalità.

Citando Bergson, “i sogni partecipano, tanto alla nostra natura irrazionale, quanto a quella razionale” (1951); il sogno è espressione della natura dell’uomo nella sua globalità.

Lascia che l’esperienza parli per se stessa, non limitarti a ricordare il sogno, ma riportalo in vita”, suggerisce Claudio Naranjo (1983).

Quando raccontiamo una parte di noi, stiamo, implicitamente, dicendo anche quello che non raccontiamo: secondo l’approccio olistico gestaltico,  noi siamo tutto l’insieme, quello che sta in figura, quello che sta sullo sfondo. Il discorso figura-sfondo vale, sia per il sogno e la realtà, che per l’intero sogno stesso.

Se il sogno mette in figura R. che doveva prendere il suo libro, dietro c’è tutto uno sfondo; di notevole importanza  e ricchi di potenziale sono i buchi del sogno, le parti mancanti, gli elementi che non compaiono nel sogno e che spesso nascondono nuclei di alta distruttività.

Prendo ad esempio il sogno di una donna, di circa trenta anni, con problemi nella sua attuale relazione sentimentale, conflittuale e insoddisfacente.

Nel sogno: “Sto sulla spiaggia col mio compagno (M.), vado in macchina e ci siamo io, lui e un suo  amico (R.). Mentre M. guida, senza farci accorgere da lui, io e R. ci baciamo, ci tocchiamo, stando attenti a non farci scoprire”.

La paziente riempie uno dei buchi con la “noia”, che sente mentre è in spiaggia con M. e che non si vede, non sente, nel sogno. E, oltre alla consapevolezza del desiderio sessuale, che si è sempre proibita di sentire per R., riconosce  un aspetto per lei duro da contattare, la noia che sente quando è sola col suo compagno. Per la paziente, il sogno le dice : “litigo con M., perchè con lui mi annoio. Ho un sospeso con R.”.

Perls riteneva che in terapia va messa l’attenzione sul fatto che non è attivo ciò che è stato, ma è attivo proprio ciò che non è stato; i buchi del sogno, le mancanze, lasciano un vuoto ed è quel vuoto che parla oggi, da quel vuoto può venire la sofferenza.  Perls considerava ogni elemento del sogno, ogni oggetto, persona, animale, sentimento,  una proiezione e considerava tali anche i contenuti utilizzati, dal sognatore, per riempire i buchi.

Nella terapia della Gestalt, il terapeuta può invitare il paziente, oltre che a identificarsi con ciascuna parte del sogno, mettendole in scena, drammatizzandole,  a riempire i buchi del sogno; in questi termini, quello che è proiettato, va re-integrato. La  Gestalt è una terapia che si centra sulla re-integrazione.

Il modo più sintetico e creativo per sperimentare, insieme, il qui e ora e il messaggio esistenziale del sogno, è quello di far vivere le parti del sogno drammatizzandole. Fare la drammatizzazione significa identificarsi con queste parti, riconoscerle, affinchè il paziente diventi consapevole di quello che sta vivendo e di come lo sta vivendo nella realtà. Può accadere che la persona, osservando il messaggio del sogno trovi risposte a situazioni lasciate incompiute o difficili da affrontare. Lo scopo ultimo, presente nella psicoterapia della Gestalt, in todo,  è, appunto, quello di ripristinare il contatto con la consapevolezza interrotta,  per reintegrarne i tre livelli di esperienza, sensoriale, emotiva e cognitiva, affinchè  l’individuo, attraverso la loro integrazione si arricchisca di funzioni prima alienate e canalizzi l’energia, precedentemente  legata, verso comportamenti  creativi e più produttivi.

Dal sogno, possono emergere immagini di sé che non corrispondono al proprio Io idealizzato (Morris, 1987) e anche esperienze dolorose del passato coperte dall’adattamento al proprio modello di vita, che se emergessero porterebbero dolore e umiliazione. Il sogno contiene i nuclei del proprio copione, e affrontarli può produrre sofferenza.

In linea con quanto scritto, anche nell’incubo, nel sogno terrifico, possiamo ritrovare aspetti alienati della personalità, risultato di una elaborazione magica del bambino a contatto con i suoi vissuti di impotenza, di fronte ad esperienze alle quali non può e/o non sa rispondere o reagire.

Separare la realtà nelle due polarità proviene da ingiunzioni morali che tendono al perseguimento di un modello ideale di vita. Finchè immaginiamo un modello, sono nel mondo delle illusioni, finchè ho un’idea di buono e cattivo, lotto per il raggiungimento della meta ideale e, quanto più è alta, tanto più “mostruosa” mi appare la polarità da cui fuggo; anche l’aspetto mostruoso va ri-assimilato all’organismo, affinchè questo sia dotato di tutta la sua energia vitale e creativa.

 

Un giovane, di circa 20 anni, ha un sogno ricorrente nel quale sono presenti figure “spaventose”, dei “succhiatori di sangueche vogliono entrare in lui e succhiare tutto il suo sangue. Ne ha molta paura e si sveglia in preda all’incubo. Anche nel ricordare il sogno comincia ad agitarsi, suda, trema, sembra non voglia continuare a raccontare. Si identifica con il succhiatore di sangue e incomincia a descriversi: sono cattivo, voglio far male, voglio uccidere mio padre…mia madre..voglio bere tutto il loro sangue..ho otto anni, viso pallido, denti affilati e lunghi, dalla bocca e dal naso esce tanto sangue. Si agita, il respiro è corto e affannoso.

Una lama d’acciaio mi entra nel corpo, mi divide in due, è lui..il mostro che me lo mette. Continua con la drammatizzazione.

Io sono il mostro e voglio il vostro sangue, si, voglio uccidere, ti voglio uccidere, succhiare tutto il tuo sangue, tu non mi fai vivere”, dice all’altra parte di sé. La rabbia è ancora contro se stesso, ma nella voce  compare dolore.

T: “Continua, digli chi sei”.

PZ: : “Io sono il mostro(piange)…sono arrabbiato, sono freddo…voglio morire..

T: (rivolto al succhiatore di sangue) “chi si nasconde dietro di te?”.

PZ: (singhiozzando) “un bambino, io da bambino…non voglio vivere…non c’è nessuno quando nasco…nessuno…non mi sembra vero….(tossisce forte, quasi si strozza) non voglio morire…non voglio morire….”.

Si agita, ansima, si arrabbia, si blocca, piange.

E’ in contatto con i messaggi di copione che ancora lo bloccano, non lo fanno andare avanti: “Non esistere, non sentire, non entrare in intimità”, vissuti attraverso il ricordo di genitori morti in un incidente stradale quando è molto piccolo, ricordo  ingigantito dal tipico procedimento del piccolo professore, che ha trasformato le frustrazioni vissute dai sostituti delle figure genitoriali in minacciose immagini, “i succhiatori di sangue”, oggi popolano protagonisti suoi sogni.

Dietro di loro si nascondono la rabbia e il dolore del bambino, per la mancanza di cure necessarie alla sua sopravvivenza. Il paziente entra in contatto con la profonda solitudine che ora sta vivendo.

Rifiutare quel mostro del sogno sarebbe stato come dire ancora una volta “no” a quel Bambino solo e impaurito. Dalle parti rifiutate, violente e pazze, è stato possibile recuperare i sentimenti di rabbia e di dolore. L’aggressività non diretta verso i sostituti genitoriali, vissuti dal bambino come responsabili della morte dei genitori, è stata retroflessa e quindi è diventata patologica.

Questo ragazzo, nella vita reale, continua a instaurare relazioni frustranti e svalutanti, e, pur avendo doti intuitive e creative, non trova una sua identità esistenziale.

L’energia, non utilizzata fuori, retroflessa, può, anche in questo caso, essere re-integrata e diventare un aspetto creativo della personalità, anziché distruttivo.