Vincent Van Gogh. Trauma transgenerazionale (2019)

Vincent Van Gogh. Trauma transgenerazionale[1]

 “Sono campi estesi di grano sotto cieli agitati, e non avevo bisogno di uscire dalla mia condizione per esprimere tristezza e solitudine estrema”

 Vincent Willem Van Gogh (Zundert, 30 marzo 1853-Auvers-sur-Oise, 29 Luglio 1890) olandese, è considerate oggi “il pittore malato” per eccellenza.

Per poter parlare dell’artista e della sua vita solcata da profonde sofferenze bisogna partire dalla sua nascita, anzi prima della sua nascita. Vincent Willem Van Gogh era il fratello primogenito del pittore, fratello che nacque morto.

L’anno successivo, ed esattamente lo stesso giorno e lo stesso mese, nacque il Vincent Van Gogh da tutti conosciuto. Come si vede, lui, sin dalla nascita, ha raccolto l’eredità del lutto dei suoi genitori e, forse, “qualcosa” anche del fratellino nato morto.

Da queste premesse “Non si può essere sorpresi della sua costante battaglia per trovare un’identità per se stesso nella sua vita, un’identità nella sua arte che appartenesse solo a lui, uno stile unico”. (Nagera H., 1967, p.46).

Nagera, nel suo studio psicoanalitico, analizza in dettaglio gli effetti su Van Gogh della presenza/assenza del fratello morto, che ritiene lo abbiano ossessionato per tutta la vita e scrive: “Il fratello, essendo nato morto, non aveva mai avuto in realtà una propria identità, ma proprio per questa ragione un’identità ideale era stata creata per lui nell’immaginario dei suoi genitori. Egli sarebbe stato il figlio perfetto, il compendio di tutte le virtù, capacità e finezze d’animo. Lui, il Vincent morto, avrebbe sempre fatto tutto nel modo giusto e, specialmente dove il Vincent reale avesse sbagliato, il bambino idealizzato avrebbe sicuramente avuto successo”.      

Questa idealizzazione di un bambino morto da parte dei genitori, una non elaborazione di uno dei traumi più dolorosi che possiamo incontrare, ovvero la perdita di un figlio, probabilmente ha avuto sul pittore tutto l’impatto di un trauma transgenerazionale irrisolto. Le conseguenze vissute in un clima famigliare intriso di una ferita non rimarginata da parte dei genitori, potrebbe spiegare molte caratteristiche di Vincent tra cui gli alti ideali dell’io che il pittore si era imposto, il suo timore di fallire e la sua paura del successo in quanto comunque vissuto con inadeguatezza. La responsabilità di portare lo stesso nome di un fratello morto, le aspettative dei genitori, il continuo confronto con un fantasma mai conosciuto, il senso di colpa avvertito nel prendere il posto di un fratello, sono tutte conseguenze possibili e molto frequenti qualora il trauma del lutto di un figlio non sia stato elaborato da parte dei genitori.

Sembra inoltre plausibile che Van Gogh abbia iniziato a rapportare la morte al successo. Il suo pensiero si basava infatti sulla credenza che, per essere riconosciuto all’altezza del fratello Vincent, o migliore di lui, era necessario essere morto come lui (Nagera H., 1967). E alla fine, Van Gogh si suicidò, alcuni mesi dopo la nascita di un altro Vincent, figlio dell’altro fratello, Theo. Alcune delle caratteristiche psicologiche che si riscontrano nella figura di Van Gogh sembrano essere quelle tipiche di tutti i bambini sostitutivi, sebbene la capacità creativa del pittore di sublimare i propri conflitti in opere d’arte fosse una prerogativa sua e di nessun altro. La paura più grande di Van Gogh era quella della competizione, per timore di fallire o di riuscire.

Ogni cosa per l’artista rappresentava una battaglia di cui conosceva già l’evoluzione indubbiamente negativa. La pittura è la risposta che il pittore restituisce ad una realtà che si carica sempre più di tensioni laceranti e, nell’affrontarla, tale tensione prende corpo in lui (Sabbadini A., 1987).

Una delle rappresentazioni più significative di questo malessere tra le opere di Van Gogh è il “Campo di grano con corvi”, realizzata nel 1890, pochi mesi prima del suicidio e giudicata dalla critica il suo “testamento spirituale”. La tela è una sorta di grido di dolore, accentuato dal ritmo delle pennellate. Il ritmo e le pennellate vorticose esprimono una situazione emotiva evidente. Caratterizzata dal funereo volteggiare dello stormo di corvi neri e dalle pennellate rabbiose e scomposte. Cupo e tenebroso, a ben vedere, è solo il cielo, che da un blu rassicurante passa a tonalità cromatiche sempre più scure. L’atmosfera è cupa, non il campo di grano. L’artista infatti non vede futuro per la sue esistenza immediata, anche se la sua anima continua ad ardere di un fuoco divoratore. In mezzo a questo cielo tenebroso, macchie bianche indistinte, sembrano voler indicare gli astri o nuvole minacciose, ma in realtà raffigurano la solitudine dell’artista ripiegato su se stesso.

I corvi neri sembrano essere la conseguenza ineluttabile della devastazione: stanno per arrivare come una minaccia incombente, una tempesta della natura. La strada non è una mediazione, ma appunto un’ansia, un desiderio oscuro, nervoso, che in questo tentativo, vano, di trasformare la realtà, si rende conto di non avere forze sufficienti. Qualche giorno dopo aver finito l’opera, Van Gogh scriverà l’ultima lettera a Theo, in cui dirà espressamente che la sua morte avrebbe posto fine al suo travaglio e a quella della famiglia del fratello (purtroppo anche Theo si ucciderà sei mesi dopo, angosciato per la morte del fratello).

La sorte della famiglia Van Gogh, rappresenta una possibilità a cui si può giungere quando un trauma non viene affrontato in maniera adeguata. La carica angosciante ed emotiva si trasmette da una generazione all’altra, non perdendo nulla in intensità se non si trova una strada percorribile per rompere questo circolo vizioso di sofferenza.

[1] Estratto da “Traumi psicologici, ferite dell’anima. Il contributo della terapia con EMDR”, I. Fernandez, G. Maslovaric, M.V. Galvagni, Liguori Editore, Napoli, 2011, pp. 236-239.